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Cyberbullismo: cos'è, come riconoscerlo e come intervenire

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Pubblicato da Alice Dutto in CURIOSITA' · 3 Febbraio 2019
Tags: cyberbullismo
Sempre più spesso si sente parlare di cyberbullismo. Ma di che cosa si tratta, come si possono riconoscere i sintomi e qual è il modo giusto per aiutare il proprio figlio a superare il trauma? Lo abbiamo chiesto a Michele Facci, psicologo e formatore, che da anni si occupa del rapporto mente-tecnologie e che è co-autore del libro “Cyberbullismo” (Mauro Berti, Serena Valorzi, Michele Facci, Reverdito Editore).


Cyberbullismo e bullismo: la differenza
«Entrambi hanno alcune caratteristiche in comune: si tratta di una serie di azioni ripetute nel tempo, a danno di una vittima specifica» sottolinea l'esperto. Non si tratta quindi di un episodio estemporaneo, ma di una consuetudine che mina, di giorno in giorno, l'autostima e la sicurezza della vittima. «La differenza, però, tra bullismo e cyberbullismo è il luogo dove questo accade. I bulli agiscono nel mondo reale, i cyberbulli online».

Una differenza molto importante: «Pur soffrendo, quando rientra a casa, la vittima di bullismo si sente protetta. Chi, invece, è vittima di attacchi in rete, non si sente mai al sicuro, perché attraverso la mail o il telefono è sempre raggiungibile».


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La pervasività del cyberbullismo è dunque maggiore e aggravata dal fatto che, in alcuni casi, «gli attacchi possono essere anonimi. Quindi la vittima ignora anche chi sia il suo carnefice, sentendosi ancora più sola e disperata».


Cyberbullismo, un esempio

Un caso classico di cyberbullismo avviene tra le giovani coppie. «Un ragazzo e una ragazza stanno insieme per un po' di tempo e, magari, si scambiano delle immagini erotiche. Quando la relazione finisce, lui o lei ricatta l'ex partner dicendo che prenderà le foto e le posterà online. In questo caso, ricorrere all'aiuto dei genitori è ancora più complicato».


Effetti del cyberbullismo

Essendo più pervasivo, il cyberbullismo è anche più impattante, ma non solo dal punto di vista psicologico. Ci sono anche delle ricadute legali gravi da tenere in considerazione. «Pur non essendoci ancora una vera e propria legge sul cyberbullismo, al momento chi vi ricorre può incorrere in un insieme di reati – precisa l'esperto –. Se insulto la professoressa nel corridoio è possibile che non accada niente, se lo faccio online invece si tratta di diffamazione. Spesso, quando si parla di cyberbullismo si può incorrere in questi reati: molestie, stalking, violazione della privacy e del diritto d'autore, perché magari si utilizza un'immagine senza avere il consenso di chi è ritratto. Nei casi più gravi, in cui si pubblichino foto erotiche di minorenni si parla anche di detenzione di materiale pedopornografico, con ripercussioni anche penali. E se è vero che fino ai 14 anni i minori non rispondono penalmente per i reati commessi, ne risponde comunque civilmente la famiglia».

Prevenire il cyberbullismo
Per prevenire comportamenti di questo tipo e insegnare ai propri figli a difendersi, bisogna iniziare fin da quando sono molto piccoli.

1. Essere presenti
«L'educazione alla tecnologia deve iniziare subito, nel momento stesso in cui mettiamo in mano il telecomando ai bambini. È necessario educare i bimbi alla tecnologia, accompagnandoli con regole e con la propria presenza, facendo capire che comporta dei pro, ma anche dei contro. Se voglio far usare un'app a mio figlio di tre anni posso farlo, ma solo se la scelgo io e la uso insieme a lui».

2. Mantenere un buon rapporto con i figli
Un'altra forma di prevenzione è la qualità del rapporto tra genitori e figli: «Se il ragazzo capisce che ci siamo, che può parlare con mamma e papà, perché sono interessati a lui e non solo ai suoi voti, allora ci parlerà anche delle sue difficoltà e problemi».


3. Parlare di cyberbullismo

Infine, è molto importante spiegare che esiste il cyberbullismo, come funziona e come difendersi. «Consiglio di farlo già ai bambini di 7-8 anni, che cominciano a usare il computer, per iniziare già a capire che dentro a internet ci sono sia cose belle, sia sbagliate: come gli insegniamo a non prendere le caramelle dagli sconosciuti, dovremo anche educarli a non parlare con gli sconosciuti online».


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I sintomi del cyberbullismo
Ma come riconoscere se il nostro bambino è una vittima? «Normalmente, i ragazzi entrano in una fase ansiosa-depressiva, non vogliono andare a scuola e spesso lamentano malesseri fisici, come mal di pancia o mal di testa. Un cambiamento che, spesso, è repentino e che avviene in assenza di altre spiegazioni: tutto d'un tratto il bambino parla di meno, è depresso e triste. Tutti segnali che devono far scattare un campanello d'allarme nei genitori che devono chiedergli quale sia il problema, per evitare che si senta solo e che per disperazione arrivi a commettere anche gesti estremi».

Come intervenire, consigli pratici
Per affrontare la situazione, «La prima cosa è quella di ascoltare il ragazzo senza pregiudizi e senza urla, evitando le sgridate. Una volta compreso l'accaduto, si può passare alle rassicurazioni: lo possiamo aiutare solo facendogli capire che non è da solo».


Dopo bisogna intervenire: «se si tratta di comportamenti gravi, in cui si configura un reato (che magari coinvolge immagini pedopornografiche), è necessario avvisare le forze dell'ordine per evitare di diventare complici del crimine – precisa Facci –. Se, invece, si tratta di una situazione meno grave, è necessario rassicurare la vittima e poi coinvolgere la scuola. Se nell'arco di qualche giorno non cambia nulla, è bene rivolgersi a uno psicologo per aiutare il ragazzo ed evitare conseguenze più gravi».

Cosa fare se si sospetta che il proprio figlio sia un cyberbullo
Anche in questo caso, giudicare e sgridare, soprattutto all'inizio, è poco utile. «È meglio prima capire qual è il motivo che porta il ragazzo a comportarsi in questo modo e poi fargli capire che è sbagliato. È importante andare alla radice del problema e anche chiedergli se è consapevole del male che provoca, perché spesso questi ragazzi non sono consapevoli della sofferenza che suscitano nelle vittime. Da lì, poi, avviene il recupero e si passa dal senso di colpa all'empatia. Di nuovo, se questi passaggi non fossero sufficienti, l'intervento della giustizia o di un terapeuta è fondamentale».



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